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•Il governo federale
Testo di Matteo Bellotto.
Pubblicato il
11/07/2010
Capitolo IV, riveduto e corretto della Tesi di Laurea in Economia e
Commercio – ambito Scienza delle Finanze dal titolo “Federalismo
fiscale ed evoluzione dei rapporti finanziari tra i vari livelli di
governo negli Stati Uniti d’America”.
Il periodo di cui si tratta in questo
articolo pur essendo temporalmente ampio non rappresenta molte
difficoltà, perché in ottanta anni il governo federale ha visto
succedersi al potere gruppi politici simili e che salvo qualche
visione di tipo personalistico hanno mantenuto la struttura federale
intatta come gli era stata affidata. L’unica eccezione che non si
può tralasciare è però l’epoca federalista del primo decennio della
federazione. Lo scontro tra una visione del governo centrale più
attiva e quella contraria a ciò, originate in assemblea costituente,
continuava a pervadere i dibattiti e le dispute politiche dopo che
per circa due anni era stata protagonista sia a Filadelfia sia nelle
convenzioni statali per la ratifica della costituzione. S’intende
quindi dividere l’arco temporale di questo paragrafo in due parti,
l’una che va dal 1789 al 1801 e l’altra che copre il resto.
I Federalisti sull’onda del successo ottenuto per la ratifica della
costituzione federale e grazie alle illustri personalità che
potevano annoverare, conquistarono sia la maggioranza al primo
Congresso sia la carica presidenziale. Primo Presidente venne eletto
il Generale George Washington. Anche se etichettarlo politicamente
non sembra molto corretto, sta di fatto che guidò dei governi in cui
vi era una netta preponderanza federalista. La maggioranza alla
Camera venne meno per due anni tra il 1793 ed il 1795 ma era
bilanciata da quella in Senato. Dopo la rinuncia di un terzo mandato
da parte di Washington fu eletto Presidente il federalista John
Adams che in pratica continuò la politica precedente1.
Per il governo federale la preoccupazione principale di questo
decennio consisteva nel consolidare l’Unione, costruendo
un’amministrazione centrale migliore rispetto a quella confederale,
e adatta a far fronte a quei nuovi poteri che la costituzione le
affidava, nonché secondo l’ideologia federalista, attiva anche oltre
le sue rigide prerogative2.
Restavano poi i rapporti spesso bellicosi con le tribù indiane che
occupavano vasti spazi a ovest degli Appalachi che ora erano terre
del demanio federale fino alla costituzione di nuovi stati, il che
avvenne in questi anni con la nascita del Kentucky e del Tennesseee.
A tutto ciò doveva sommarsi la difficile situazione estera, legata
ai non felici rapporti con la Gran Bretagna e le tensioni causate
dalla Rivoluzione in Francia e le successive guerre europee.
Poiché la Costituzione stabiliva solo principi ed era molto
flessibile, i governi federalisti cercarono di edificare quella
forte repubblica che era nelle loro aspirazioni sin dalla lotta
rivoluzionaria e questo aprì sin dall’inizio il vortice dei dissidi
a volte anche personali tra membri del governo ed opposizione. Per
cercare di trovare una nuova concordia si ricorse ad emendare la
Costituzione con i primi dieci emendamenti, conosciuti come “Bill of
Rights” (1791), che nei pensieri degli antifederalisti dovevano
essere un freno all’attività del governo centrale ma che invece si
dimostrarono attinenti solo ai diritti dei singoli cittadini; unica
eccezione il X Emendamento3 che
aveva una forma tale da essere considerato una vittoria da entrambe
le fazioni.
Il periodo che si apre con la elezione a Presidente di Thomas
Jefferson nel 1801 e con la conquista della maggioranza al Congresso
degli antifederalisti è molto omogeneo sotto il punto di vista
politico, dato il fatto che si succederanno maggioranze di tipo, mi
si conceda il termine, “repubblicano-democratico-agrario”. Fu lo
stesso Jefferson a coniare il termine di “Repubblica di agricoltori”
per gli Stati Uniti, venendo il padre fondatore dalla Virginia e
soprattutto appartenendo a quella elite di piantatori del Sud che
manterranno il potere fino all’avvento di Lincoln4.
L’opposizione ai programmi dei federalisti si era venuta rinforzando
soprattutto tra quelle persone che volevano una Unione di tipo
“leggero” e che non interferisse con gli assetti locali e
soprattutto non mettesse in discussione il “way of life” dei popoli
che vivevano nelle varie parti della federazione. Sempre riprendendo
Jefferson, gli Stati Uniti dovevano essere una nazione “felice, non
potente”, il contrario di ciò che desideravano i federalisti e
dietro di loro i mercanti ed i proprietari di manifatture del
nord-est. Le prime scelte di politica interna dei “Republicans” (in
realtà il termine corretto sarebbe repubblicani-democratici che in
seguito si chiameranno solo democratici, da non confondere con i
repubblicani odierni, il cui partito sorse negli anni ‘50
dell’ottocento) furono di smantellare tutte le opere dei precedenti
governi lasciando il minimo indispensabile per una corretta
amministrazione delle competenze che, secondo i leaders del
movimento dovevano spettare all’organizzazione centrale, vale a dire
“relazioni esterne e reciproche di questi stati” . E la prima cosa
da eliminare era il programma finanziario di Alexander Hamilton. In
realtà il tutto avvenne senza troppe resistenze da parte dei
federalisti, molti dei quali abbandonarono la politica o si
limitarono a fare una opposizione leggera (il partito federalista
continuò a partecipare alle elezioni fino al 1817 con una propria
organizzazione dopo di che si sciolse e confluì in altri
schieramenti, anche se elesse deputati e senatori fino al 1825)5.
Una questione che ci si sente in dovere di notare è l’emergere in
questi anni della contrapposizione sezionale Nord – Sud che
provocherà la guerra civile del 1861 e che continuerà anche nel
“900. Se infatti fino al primo decennio del “800 vi era nello
scenario politico una sola contrapposizione tra sostenitori del
governo federale e sostenitori dei “diritti degli stati”, viene
adesso a svilupparsi il tema dell’interesse economico territoriale e
sezionale (dove per sezionale si intende nord e sud ed in un secondo
momento anche ovest) . Questo é dovuto allo sviluppo distinto
dell’economia per aree territoriali, in particolare dall’emergere
dell’industria nel Nord, che pone sempre nuove richieste al governo
centrale, in primis la “protezione” delle proprie merci nel mercato
interno, oltre a vie di comunicazione rapide e servizi (quest’ultimi
quasi totalmente forniti dagli stati di localizzazione delle
imprese). Il Sud che basava la propria economia sull’agricoltura
estensiva del cotone e del tabacco oltre che sull’allevamento,
richiedeva mercati liberi dove poter vendere le produzioni agricole
ed acquistare manufatti di lusso provenienti per la maggior parte
dall’Europa6. Sono tre i nomi
che rappresentano in modo preciso le rivendicazioni territoriali
fino agli anni cinquanta del secolo e che poi con le loro dottrine
guideranno i successivi leader e fazioni: Daniel Webster, John C.
Calhoun ed Henry Clay. Il primo era esponente del Partito
Federalista e successivamente leader del partito whig7,
ma soprattutto rappresentante della manifattura del New England.
Egli riteneva che una politica tariffaria audace avrebbe coperto le
spese federali durante le depressioni mentre nei periodi floridi
avrebbe costituito avanzi di bilancio con i quali poter finanziare
opere pubbliche federali, soprattutto strade, canali, ferrovie e
porti. John C. Calhoun, democratico, era esponente dei piantatori
del Sud, e ricoprì la carica di vicepresidente nel governo di John
Quincy Adams, oltre a quella di senatore della Carolina del Sud;
sostenitore dei diritti degli stati, era assolutamente contrario a
dazi protezionistici i quali non servivano all’economia del Sud ed
anzi ne ostacolavano lo sviluppo; per questo statista bisognava
adottare una seria politica di tassazione indiretta. Il pensiero del
senatore fu uno dei capisaldi della politica del Sud anche dopo la
sua morte. Ad una via di mezzo si poneva Henry Clay, che pur essendo
nato in Virginia rappresentava gli interessi del medio-ovest fatto
di piccoli agricoltori ed allevatori nonché di piccola manifattura.
Anch’egli membro del Partito Federalista e poi whig tentò due volte
la corsa alla presidenza; viene ricordato per la capacità di
mediatore.8
Sotto l’aspetto politico la situazione rimase stazionaria fino al
1824 quando si diede l’avvio all’aumento delle tariffe doganali
sulle importazioni. Tali misure andavano a favorire le manifatture
nazionali, eliminando la concorrenza delle produzioni europee, che
si dimostravano meno costose. In precedenza gli stati
“protezionisti” non avevano una maggioranza alla Camera per poter
avviare la propria politica, ma con le elezioni del 1823 i rapporti
di forza cambiarono anche perchè la distribuzione dei seggi veniva
fatta rispettando le proporzioni di popolazione e in questi anni vi
era stata una forte immigrazione soprattutto nelle terre del Nord e
del medio-ovest.
Negli anni trenta del XIX secolo si aprì un’altro fronte di
dibattito, quello sull’avanzo di bilancio federale. Il problema
reale consisteva nella divergenza tra una visione della Costituzione
di tipo “hamiltoniana”, per cui il governo, sotto la clausola
costituzionale del “general welfare” avrebbe dovuto distribuire il
surplus tra la popolazione degli stati. Favorendo la spesa pubblica
statale avrebbe pertanto aumentato il “benessere della Nazione”.
Contrapposta a questa corrente di pensiero era la filosofia “jeffersoniana”,
di cui il Presidente Jackson era erede, che prediligeva una lettura
restrittiva. Si considerava una espansione incontrollata della
infrastrutturazione di tipo federale, pericolosa per l’autonomia
degli Stati, in quanto avrebbe implicitamente aumentato i poteri
della Federazione. Se doveva esserci intervento centrale questo
avrebbe dovuto indirizzarsi solo verso i “territori federali”,
quindi direttamente amministrati da Washington, o limitarsi alle
competenze “strettamente” costituzionali.9
Il Presidente J.Q. Adams, nel suo primo messaggio sullo Stato
dell’Unione (1827) sostenne che eventuali avanzi di bilancio
avrebbero dovuto essere utilizzati per opere che fossero
nell’interesse di tutto il popolo degli Stati Uniti, e per questo
chiese l’istituzione di una Università Nazionale, un osservatorio e
biblioteche pubbliche. Nessuna proposta ebbe seguito.10
Nel 1830 il Congresso autorizzò uno stanziamento di fondi per la
costruzione di una strada nel Kentucky (la Maynville - Lexinton). Il
Presidente Jackson pose il veto sulla legge, giustificando che tale
intervento doveva considerarsi “locale” e pertanto fuori dalla
portata del Governo Federale. Simili veti vennero posti da Jackson
anche in seguito. Questo dibattito proseguì sino al 1860 senza che
si trovasse una formula di sviluppo ben definita e avvalendosi di
continui compromessi. In realtà l’opera del governo centrale non era
molto sentita dagli americani, probabilmente perché non necessaria,
essendo i governi locali che stavano modernizzando i propri ambiti
territoriali .
_____________________________________
1 Vedi Bailyn e Wood “Le
origini degli Stati Uniti” 1987, pag. 340 e ss. Dati Census Bureau.
2 Vedi Bailyn e Wood, op.cit. pag. 340 e ss; e Morison e Commager
“Storia degli Stati Uniti d’America”, 1969.
3 “I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o da
essa non vietati agli Stati, sono riservati ai rispettivi Stati,
ovvero al popolo.”
4 Vedi Bailyn e Wood, op.cit. pag. 349 e ss.
5 Vedi Bailyn e Wood, Enciclopedia “De Agostini” e Studenski e
Krooss “Financial history of the United States” 1952, pag. 45 e ss.
6 Vedi Morison e Commager op.cit. .
7 Partito politico fondato nel 1834 come opposizione al Presidente
A. Jackson. Elesse i presidenti Harrison, Tyler, Taylor e Fillmore
nel periodo 1840-53.
8 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. ; P. Toninelli “Nascita di una
nazione” 1993 ; D.B.Davis “Espansione e conflitto. Gli Stati Uniti
dal 1820 al 1877” . Morison e Commager op.cit.
9 Vedi Studensky e Krooss, op.cit. Per strettamente federali si
intendono prerogative legate alla difesa, all’amministarzione
postale, al Tesoro, alla giustizia federale ed alla sicurezza dei
cittadini.
10 Vedi Studensky e Krooss, op.cit.
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