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•La finanza federale
Testo di Matteo Bellotto.

Pubblicato il 11/07/2010

Capitolo IV, riveduto e corretto della Tesi di Laurea in Economia e Commercio – ambito Scienza delle Finanze dal titolo “Federalismo fiscale ed evoluzione dei rapporti finanziari tra i vari livelli di governo negli Stati Uniti d’America”.

Il governo Washington (1789-1797) ebbe come ministro del Tesoro (Secretary of Treasaury) il leader dei federalisti Alexander Hamilton che lavorò sin dall’inizio alla costruzione di un forte ministero che avrebbe dovuto essere la guida per le varie tesorerie statali11. Si istituì un Dipartimento che rispondendo del proprio operato sia al Presidente sia al Congresso era in realtà molto autonomo nelle proprie scelte di politica fiscale. L’intelaiatura del tesoro prevedeva oltre ad un vice segretario, un “comptroller” o direttore delle entrate; un “auditor” o revisore dei conti; il “treasaurer” il tesoriere vero e proprio; e l’ufficiale del Registro che aveva i compiti di segretario del Dipartimento. Nel 1792 alla figura del comptroller si affiancò quella del “commissioner”, il primo seguiva le entrate derivanti da dazi e tariffe ed il secondo le entrate interne. Sempre in quell’anno si costituì la Zecca Federale che avrebbe iniziato a coniare i primi dollari nel “94.12
La discrezionalità dell’operato di Hamilton, seppure meritorio, suscitava qualche malumore soprattutto tra gli antifederalisti, proprio a causa di questa autonomia operativa. Si cominciò ad accusare il governo di “affarismo” e commistione tra cosa pubblica e cosa privata13. Per ridurre la discrezionalità finanziaria del governo si istituì nel 1796 uno “Standing Committee”14 presso la Camera dei Rappresentanti (quest’ultima era ed è la sola Camera ad avere l’iniziativa delle leggi in materia fiscale), allo scopo di organo controllore e referente dell’operato del Tesoro e sulle entrate e spese federali.15
Hamilton aveva basato la sua politica su alcuni capisaldi e cioè, che le entrate federali dovevano basarsi principalmente su dazi doganali, che avrebbero costituito anche una protezione alle nascenti manifatture del New England, e sulle imposte indirette in generale. Nel caso non si fosse ancora raggiunto il pareggio di bilancio, si sarebbe ricorsi ad una ampia e ben organizzata campagna di vendita di terre demaniali federali, il cui ricavato avrebbe consentito di ripagare quote del debito federale ed attuare anche una politica di lavori pubblici. Si sarebbe dovuta organizzare una banca federale con capitale misto che avrebbe servito il governo nelle sue operazioni di collocamento di titoli del debito pubblico e riscosso i tributi nelle varie parti della federazione tramite le proprie filiali. Da ultimo la Federazione avrebbe dovuto farsi carico di tutti i debiti dei singoli stati.16
Cominciando dalla politica tariffaria, già dal 1789 furono introdotti dazi specifici sulle importazioni di trentasei prodotti tra cui cacao, caffè, liquori, acciaio e cordame; dazi varianti tra 7,5 % , 10% e 15% su ferro, pietra, carriaggi e articoli di vetro; un dazio fisso pari al 5% su tutti gli altri prodotti non considerati di libera importazione. A queste tariffe se ne sommava una ulteriore di 6 centesimi la tonnellata sulla stazza delle navi statunitensi e pari a 50 centesimi su quelle straniere; i pagamenti dovevano avvenire in contanti o titoli del debito pubblico federale ed erano previsti sconti per quelli pronta cassa.
Le dogane fornivano all’erario federale circa un terzo del proprio fabbisogno, quindi furono previste una serie di imposte indirette dal 1791 (con revisioni nel “94 e “97), come le accise sui liquori, la più famigerara delle quali fu quella sul whisky che prevedeva un’imposta variante tra il 9 ed il 30% sul prezzo del gallone (1 gallone = 3,78 litri) che nel “94 portò ad una ribellione dei distillatori della Pennsylvania; altre accise erano imposte sul possesso di carri, sul tabacco da fiuto, sulla raffinazione dello zucchero. Si imposero anche tasse sulle vendite all’asta, licenze per la vendita di liquori e marche da bollo (dal 1797).
Per quanto riguarda la vendita delle terre di proprietà federale, Hamilton aveva pensato che vendere 21 milioni di acri delle terre del nord-ovest in via di sviluppo, avrebbe portato nelle casse federali tra i tre ed i quattro milioni di dollari. La manovra oltre ad avere un ritorno immediato, rappresentava per l’amministrazione centrale l’occasione di indirizzare, se non proprio determinare, lo sviluppo di alcune parti della federazione anche a scapito dei desideri degli stati, e di permettere una ampia possibilità di accesso alla proprietà fondiaria da parte dei coloni che si spingevano verso l’ovest. Nel 1796 fu varata una “land ordinance” permanente, con cui, come in un provvedimento analogo del “85, si stabiliva che la quantità minima vendibile fosse di 640 acri a 2 $ l’acro (1 acro = 4046,86 mq) con pagamento da effettuarsi in due rate. In realtà il piano di incassare denaro a sufficienza per più progetti fallì, e si può affermare che la vendita di terre non rappresentò mai, salvo alcune limitatissime eccezioni negli anni 1835 – 36 - 37, una fonte di entrata sicura e ampia, ma rivelandosi piuttosto un provento integrativo.17
Nel 1791 dopo ampi dibattiti fu fondata la “Banca degli Stati Uniti” con una licenza di venti anni e capitale di 10 milioni di dollari di cui un quinto sottoscritto dal governo. La banca ispirata al modello inglese, funzionava da garante per le operazioni del governo, e cosa importante per l’epoca, emetteva carta moneta che doveva essere accetta in tutta l’Unione e svolgere un compito di “regolatrice” del sistema finanziario anche dei singoli stati.
Da ultima, la questione del “debito nazionale” rappresentò per la politica federalista un successo. Hamilton riuscì a far approvare il suo piano nell’agosto del 1790 dopo aspri dibattiti. Egli sosteneva che il debito dei vari stati derivava dallo sforzo bellico rivoluzionario e che avendo avuto ogni singolo debito lo stesso scopo, cioé quello di costruire una unione indipendente, sarebbe stato corretto che l’Unione una volta raggiunta l’indipendenza se ne fosse fatta carico attraverso un consolidamento. C’era poi la questione di risollevare il credito pubblico federale, e solo il consolidamento avrebbe dato fiducia agli investitori. I contrari alla proposta, tra cui James Madison, leader della Camera, sostenevano che la manovra avrebbe avvantaggiato gli stati meno virtuosi a scapito di quelli meno popolosi o che con sacrifici avevano già ripianato i propri debiti. Nel 1790 quindi ai 54 milioni di dollari di debito federale se ne aggiunsero 18 di debito statale.18
Alexander Hamilton si dimise dalla carica di Segretario del Tesoro nel 1795 ma continuò ad esercitare un’influenza sull’esecutivo fino alla fine dell’epoca federalista. Gli successe nell’ufficio Oliver Wolcott, che continuò l’opera del predecessore e che viene ricordato per aver varato un piano finanziario che prevedeva l’uso dell’imposta diretta per far fronte alla diminuzione delle entrate derivanti dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche in Europa. La proposta passò al Congresso nel 1798. Esso prevedeva il prelievo di due milioni di dollari all’anno che fu ripartito come previsto dalla Costituzione, in modo proporzionale agli abitanti degli stati (gli schiavi venivano tassati per il 50%, le abitazioni e la terra secondo il loro valore locale)19. Essendo il metodo complicato e la base imponibile difficile da quantificare, oltre al fatto che gli stati (responsabili della raccolta del denaro) non erano molto favorevoli a questa forma di imposizione, nel 1801 fu raccolta solo la metà della somma prevista.
Riguardo la tassazione diretta è interessante notare che proprio nel 1796, nel caso Hylton contro Stati Uniti20, la Corte Suprema Federale sancì che la tassa federale sui carriaggi non era da considerarsi diretta perchè sul consumo e sul costo del mezzo. Questo caso non riuscì a stabilire una netta differenza tra imposizione diretta ed indiretta ma servì solo a rimarcare il fatto che le “direct taxes” contemplate nella Costituzione erano solo due, la capitazione o poll tax senza riguardo per la proprietà, la professione e altre circostanze; e la tassa sulla terra.21
In conclusione si può dire che la politica fiscale federalista fu senz’altro coerente e ben costruita tanto che, con le modifiche apportate dalla prime amministrazioni jeffersoniane, restò in vigore fino ai primi decenni del “900.
Diversamente dal lato dell’efficacia appare invece uno squilibrio tra obiettivi e mezzi, e questo per due motivi complementari: la dimensione di programmi troppo vasti per le risorse della neonata federazione; e l’opposizione politica e materiale dei governi statali a programmi troppo “invadenti” della loro autonomia.
Con il cambio di maggioranza alla guida dell’Unione, cambiò anche la linea politica in materia fiscale. Dal 1801 i Repubblicani-democratici con segretario del tesoro Albert Gallatin, che restò nel suo ufficio sino al 1813, si può dire che smantellarono in poco tempo una parte dell’opera delle amministrazioni Hamilton-Wolcott, che vale la pena ripeterlo consideravano una fonte di affarismo e clientelismo oltre che una minaccia alle libertà degli stati. Nel lungo periodo di permanenza al ministero, Gallatin, migliorò l’organizzazione del tesoro improntata dai predecessori, da un lato riducendo i poteri del Presidente e del Segretario in materia fiscale e dall’altra introducendo aspetti tecnici di trasparenza e garanzia (bisogna affermare che le accuse di clientelismo rivolte ad Hamilton ed ai federalisti derivavano in gran parte dalla mancanza di chiarezza sui dati del governo),
introducendo un sistema di reporting sia al governo sia al parlamento che fu in vigore fino al 1921 (con la Legge del Budget che unificò i bilanci dei vari dipartimenti ed agenzie federali). Fu introdotta anche una stringente attività di controllo del Congresso sulle operazioni di indebitamento che fu in vigore fino al 191922. Il nuovo programma era molto semplice : ridurre il debito pubblico, riducendo le spese, soprattutto militari, e vendendo la terra demaniale. A questo proposito, bisogna ricordare che nel 1803 si operò quello che va sotto il nome di “Acquisto della Louisiana” che praticamente raddoppiò la superficie degli Stati Uniti e aprì alla colonizzazione l’intero bacino del Mississippi ; l’acquisto dalla Francia fu pagato 15 milioni di dollari di cui 13 pagati ricorrendo al debito pubblico a quindici anni23.
La politica dei jeffersoniani, che era improntata ad un giusto liberismo, andò subito a ritoccare le tariffe daziarie e ad eliminare le accise che nel 1802 facevano introitare circa 600.000 $ . Nel periodo 1803-08 le entrate per dazi aumentarono per il duplice fatto che ora si riscuotevano anche le tariffe del grande porto di New Orleans e perchè a più riprese furono applicate delle aliquote medie del 16% per finanziare le operazioni di contrasto alla pirateria barbaresca che ostacolava i commerci nel Mediterraneo e nell’Atlantico . Commerci che peraltro risentivano già delle guerre napoleoniche in Europa e che in alcuni momenti misero a rischio le sicure entrate provenienti dalle tariffe. Proprio a causa del possibile coinvolgimento nel conflitto europeo si rese necessario approntare un piano finanziario che prevedeva il fatto che le spese militari venissero coperte con l’emissione di titoli del tesoro rimborsabili nel medio-lungo periodo e che nell’ottica repubblicana non andassero ad aumentare le imposizioni in vigore, l’ammortamento sarebbe infatti avvenuto tramite un sicuro e spontaneo aumento del gettito delle importazioni e se nel caso vi fossero stati problemi la reintroduzione di accise sarebbe servita a ripianare solamente il debito. La guerra con la Gran Bretagna scoppiò nel giugno del 1812 cogliendo però impreparato il Dipartimento delle finanze che si era visto bocciare i propri piani. La soluzione più logica fu quella di aumentare i dazi del doppio rispetto la media precedente e di imporre anche la tariffa di 1,5 $ a tonnellata sui bastimenti stranieri, oltre a ricorrere all’emissione di titoli per milioni di dollari, certificati che venivano usati anche come valuta per i pagamenti pubblici. Nel 1813 si dovette ricorrere all’imposizione diretta per raccogliere 5 milioni di dollari all’anno nonchè alla reintroduzione delle accise.
Occorre ricordare che nel 1811 venne soppressa la banca centrale. La Banca degli Stati Uniti, aveva catalizzato le antipatie di molte persone soprattutto per l’eccessivo potere e privilegio che aveva via via assunto. Il problema dell’antipatia degli americani per le banche era radicato nel tempo proprio a causa dei privilegi che venivano concessi loro dal potere politico che emetteva la licenza o “chart” e per il fatto non indifferente in una società di common men che le banche attirassero le speculazioni finanziarie e gli uomini d’affari senza scrupoli24. La soppressione della banca fu comunque un errore alla luce degli eventi bellici, perchè mancando un controllo sulle emissioni di banconote gli istituti di credito statali sia privati sia a capitale misto iniziarono ad immettere nel mercato banconote non più coperte da depositi (nel periodo 1812-15 la circolazione di cartamoneta passò da 22,7 milioni a 99 milioni di dollari in tagli minimi da 5 $ a fronte di una popolazione di 8 milioni di abitanti). Già nel “14 l’inflazione era molto elevata e alcune banche rischiavano il collasso. Dal punto di vista fiscale questo costituiva un serio problema. Infatti la mancata convertibilità delle banconote emesse dalle banche locali metteva in crisi i pagamenti dei tributi. Il Tesoro per la esazione si appoggiava a 94 banche diverse sparse su 18 stati ed in ogni filiale doveva avere quattro conti distinti, per motivi di
solvibilità tra i vari tipi di cartamoneta: uno per i pagamenti in banconote della stessa banca, uno per quelle di altri emittenti, uno per i biglietti di stato fruttiferi e uno per i non-fruttiferi25. In difficoltà il governo si trovò ad imporre accise anche sulle forniture domestiche.
La guerra contro la Gran Bretagna terminò con la vittoria degli statunitensi nel 1815, e dimostrò che non si potevano affrontare emergenze belliche con il consolidato metodo del ricorso al debito ma occorrevano misure anche impopolari come l’imposizione diretta che non era ben vista dai repubblicani-democratici. Quest’ultimi dovettero rifondare la banca centrale nel 1816-17 dopo i disastri causati dalla sua soppressione. La seconda Banca centrale degli Stati Uniti ebbe una licenza ventennale e un capitale sociale di 35 milioni di dollari, di cui un quinto finanziato dal governo ed il restante da capitale privato con pacchetto azionario massimo di tremila azioni. Le sottoscrizioni private dovevano avvenire per il 25 % almeno in moneta metallica ed il restante in buoni del tesoro. L’emissione di valuta federale di taglio minimo pari a 5 $ non avrebbe dovuto eccedere il patrimonio ed in caso di inconvertibilità avrebbe pagato un interesse mensile dell’1 %. Tale banca sarebbe stata la depositaria di tutti i fondi federali e avrebbe concesso al governo prestiti per un massimo di 500.000 $ . Anche questa istituzione durò vent’anni e poi non venne rinnovata.26 Dopo la riproposizione dei problemi della guerra “12-“15, con un servizio di tesoreria affidato a 34 banche statali, si stabilì nel 1846, con l’ “Indipendent Treasury Bill”, il sistema di amministrazione fiscale federale destinato a rimanere in vigore fino al 1921. Con esso si slegava il sistema dall’ausilio delle banche locali e si imponeva l’esazione di imposte solo in moneta metallica e biglietti federali, i “treasury notes”, ed i depositi dovevano essere fatti in appositi uffici del dipartimento sparsi nel Paese.
Il periodo che va dalla fine della guerra nel 1815 alla recessione del 1837, rappresenta per le finanze federali un ventennio molto prospero, improntato ad un uso molto pregnante dei dazi doganali come strumento proficuo per ricavare molte entrate. Furono proprio le tariffe, come si vedrà in seguito a mettere in crisi il sistema federale tra il 1828 ed il 1833. Le tariffe doganali nascondevano due visioni contrapposte dell’economia statunitense, una improntata all’industria , che richiedeva una adeguata protezione ed una agricola, orientata al libero scambio e ciò fu aggravato dal fatto che questi interessi erano ben localizzati geograficamente.27
Nel 1816 venne imposta una tariffa media del 20% sui prodotti di importazione che sul tessile arrivava al 25 % con la determinazione dell’imponibile minimo. Tale provvedimento aveva lo scopo dichiarato di proteggere le manifatture sorte durante il conflitto. Nel 1824 si passò da una media del 20 ad una del 33,3 % su prodotti quali i tessili, il ferro, il vetro, il piombo e la canapa. L’escalation culminò con le tariffe del 1828 dette “dell’abominio”28, dai detrattori, che imponevano un dazio medio del 41% con gli imponibili minimi prestabiliti. Il che fece scoppiare una violenta protesta da parte degli stati del Sud, come si vedrà nel proseguo. A seguito di compromessi parlamentari la tariffa fu rivista ed abbassata al 33,3 % nel 1832 ed un anno dopo a seguito di continue resistenze un nuovo compromesso la fece diminuire gradualmente in dieci anni fino al 20 %.
Per quanto riguarda le spese federali dal 1791 al 1820 furono erogati per lavori pubblici circa 15 milioni di dollari di cui la metà dopo il 1815; la maggior parte degli investimenti riguardava la costruzione o l’ammodernamento di strade interstatali e l’edificazione di porti ed edifici pubblici. Vi è da osservare che il governo federale non ricoprì un ruolo veramente attivo nell’economia di questi anni ed in generale fino alla stagione del New Deal. Sulla Questione dell’infrastrutturazione è interessante notare che nel 1808 il Segretario del Tesoro Gallatin, compilò un rapporto sul possibile sviluppo federale di arterie viarie e canali in cui si prevedeva di stanziare circa 20 milioni di dollari. Il piano prevedeva il compimento delle opere in 10 anni, tuttavia l’ultima di quelle realmente realizzate fu terminata solo nel 1914 ! (il Canale di Cape Cod)29. Infatti se le cifre possono impressionare è doveroso ricordare che furono gli stati ad operare al proprio interno molte infrastrutturazioni, e questo fino agli anni 40-60 del secolo XIX. In campo sociale si era previsto un aumento delle pensioni per veterani da 8 a 20 $ al mese con l’estensione dei benefici nel 1818 a tutti gli ex combattenti e non più soltanto agli invalidi.
Tra il 1828 ed il 1836 i bilanci federali registrarono ogni anno un abbondante surplus, che dopo gli innumerevoli dibattiti di cui si è riferito sopra, fu destinato oltre che al ripiano del debito, ad una serie di “federal improvements” cioè di lavori pubblici destinati a migliorare la cosa pubblica ed il benessere dei cittadini. Nel periodo in questione si spesero circa 25 milioni di dollari, suddivisi come segue:
- 6,8 milioni di $ per strade e canali
- 6,3 milioni di $ per forti ed arsenali
- 5,0 milioni di $ per la manutenzione di fiumi e porti
- 3,4 milioni di $ per la Cumberland Road
- 2,4 milioni di $ per fari costieri
- 1,2 milioni di $ per edifici pubblici civili30
In un’epoca di forte espansione economica, il surplus aumentava oltre le previsioni. Il senatore Clay ed altri leader politici del Nord, timorosi che un sempre maggiore avanzo di bilancio potesse avere ripercussioni negative sulla politica daziaria federale e quindi sulle politiche protezionistiche in atto, sostennero le pressioni per una redistribuzione tra gli stati delle somme incamerate in eccedenza. In un primo momento si pensò di concedere trasferimenti di demanio federale, ma il Presidente Jackson pose il veto sulla proposta del Congresso. Nel giugno del 1836 il Congresso passo una legge proposta da Henry Clay, in cui, sempre per utilizzare l’avanzo di bilancio, si contemplava la distribuzione tra gli stati, in modo proporzionale alla rappresentanza parlamentare, del surplus di bilancio annuale eccedente i 5 milioni di dollari. Erogazioni da effettuarsi in quattro rate. Questo provvedimento fu fatto passare al voto con lo stratagemma di considerare i trasferimenti come prestiti senza interessi, a copertura di debiti che gli stati avevano accumulato negli anni precedenti nell’opera di modernizzazione delle rispettive giurisdizioni. Queste elargizioni di denaro federale possono a giusto titolo considerarsi gli antesignani dei federal grants – in – aid . Al 1 gennaio 1837 si erano accumulati nelle casse del Tesoro 42,5 milioni di dollari (pari al 137% delle spese federali del 1836), lasciando quindi 37,5 milioni da essere erogati. Il realtà la distribuzione effettiva fu solo di 28 milioni a causa della crisi economica che si scatenò nell’ottobre del 1837.31
La cosa non funzionò in realtà al meglio delle proprie potenzialità perchè le amministrazioni statali con i fondi aumentarono le loro iniziative in campo pubblico e non ripianarono i debiti .
Al periodo di forte espansione economica e di conseguenza fiscale seguì a partire dal 1837 una stagione di depressione che durò sino al 1840. Il governo per far fronte alle difficoltà di bilancio si vide costretto a tagliare numerose spese tra cui, a causa dell’esaurirsi del surplus, i lavori pubblici che avevano contraddistinto la sua opera nel decennio precedente. Non volendo gravare con imposte indirette sulla popolazione si ricorse all’indebitamento per pareggiare il bilancio.
Il termine della recessione coincise anche con l’avvicendarsi al governo del Partito Wigh32, che rappresentava in prima istanza le aspirazioni dell’industria, e che nel 1842 andò a modificare le tariffe doganali non tenendo conto del compromesso del 1833.
Le tariffe furono radicalmente cambiate nel 184633 (tariffe Walker) e prevedevano una divisione dei beni importati, con imponibile il prezzo reale, in categorie : lusso, semilusso, manufatti, materie prime, prodotti di libera importazione. Le aliquote variavano dal 100% dei generi di lusso al 5% delle materie prime.
Se si osservano i dati dei bilanci tra il 1845 ed il 1860 si noterà che la stragrande maggioranza delle entrate federali è data dai dazi e che la voce di spesa che assorbe maggiori risorse è quella del dipartimento della difesa e marina. Nel 1848, a seguito della guerra con il Messico, gli USA assunsero la conformazione geografica attuale, ma l’estensione territoriale fece aumentare le spese.
Il surplus che cominciò ad accumularsi dal 1850 consentì di avviare una nuova serie di interventi pubblici. In totale nel periodo in questione furono spesi in lavori pubblici non meno di 50 milioni di dollari. La maggioranza al Congresso, nel 1854 formulò proposte di passaggio di demanio federale agli stati per finanziare programmi di welfare, ma queste vennero bocciate dal veto presidenziale. Medesimi risultati ottennero disegni di legge tra il 1856 e 1860.34
Da questa lunga descrizione storica emerge immediatamente, come il Governo Federale, che godeva di ampi poteri di tassazione, negli anni in questione affidi le sorti delle sue entrate principalmente alla politica daziaria. Tale prelievo rappresenta una media molto alta del totale. Una delle ragioni di ciò deriva dal fatto che i dazi costituivano un flusso abbastanza stabile e certo di entrate perché l’esazione avveniva in ambiti ristretti e facilmente controllabili. Un’altra ragione riguarda il fatto che le tariffe costituivano uno strumento protettivo da parte del governo centrale, dello sviluppo industriale nazionale. In pratica anche se il sistema federale statunitense agiva secondo una classica impostazione “duale”, garantiva un buon sviluppo economico: la federazione da un lato, con le misure descritte, gli stati dall’altro con lo sviluppo delle infrastrutture e la modernizzazione locale.
Come nota G. Brosio35, “Dal 1789 al 1913 il governo federale e quelli degli statali hanno operato su un piano di indipendenza finanziaria”. Ciò derivava dalla Costituzione Federale secondo cui nelle rispettive sfere di competenza i due livelli di governo erano “sovrani” e “uguali” e più ancora dal fatto che i rapporti tra livelli di governo non erano collaborativi e talvolta anche conflittuali. E questa visione duale non era solo finanziaria ma anche politica, giudiziaria ed operativa.36
Finanziariamente il Governo Federale interagì con gli Stati solo in specifiche situazioni di cui la prima anteriormente al 1789 (con cui si concedeva parte del demanio federale per il finanziamento di scuole pubbliche). Il secondo intervento fu il consolidamento dei debiti statali nel 1790. Il terzo, fu l’assegnazione nel 1818 al tesoro degli stati, del 5% delle entrate derivanti dalla vendita di terreni pubblici. Il quarto atto del governo centrale fu la distribuzione nel 1837, di parte del surplus di bilancio federale tra i vari governi statali; misura che rappresentò un primo tentativo di perequazione tra stati prima del “revenue sharing” del 1972.37 Se queste furono misure contingenti, vanno in questa sede ricordati: la politica dei “land grants” e delle erogazioni monetarie federali per la milizia statale, che rappresentarono interventi federali di tipo consolidato.
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11 Vedi Bailyn e Wood.
12 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 62.
13 Vedi Bailyn e Wood, op.cit.
14 Può essere tradotto come comitato di controllo.
15 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 48.
16 Vedi Bailyn e Wood, op.cit. pag. 339 e ss.
17 Vedi studenski e Krooss, op.cit. pag. 51.
18 Vedi Studenski e Kroos ; D.R. Stabile e J.A.Cantor “The public debt of the United States” 1991. D.
Dewey “Financial History of the United States”, 1903. D. Dewey nell’opera citata riporta i seguenti
dati sul debito consolidato:
STATO                                CONSENTITO DALLA LEGGE                                CONSOLIDATO
New Hampshire                            $ 300.000                                                               $ 282.596
Massachusetts                               $ 4.000.000                                                           $ 3.981.733
Rhode Island                                   $ 200.000                                                               $ 200.000
Connecticut                                      $ 1.600.000                                                            $ 1.600.000
New York                                           $ 1.200.000                                                            $ 1.183.717
New Jersey                                       $ 800.000                                                               $ 695.203
Pennsylvania                                $ 2.200.000                                                           $ 777.983
Delaware                                           $ 200.000                                                                $ 59.162
Maryland                                          $ 800.000                                                               $ 517.491
Virginia                                            $ 3.500.000                                                             $ 2.934.416
North Carolina                              $ 2.400.000                                                           $ 1.793.804
South Carolina                              $ 4.000.000                                                            $ 3.999.651
Georgia                                               $ 300.000                                                                $ 246.030
Totale                                                   $ 21.500.000                                                         $ 18.271.786
Dewey riferisce anche che per far passare tale misura sul debito, Hamilton ricorse ad un compromesso
con i deputati e senatori degli stati del Sud, promettendo che la capitale federale sarebbe stata edificata
in un territorio meridionale. Washington è edificata infatti tra Maryland e Virginia, a sud della linea
geografica detta Mason-Dixon che divide formalmente Settentrione e Meridione.
19 Vedi anche J.J.Wallis in “Environmental and public economies” di Panariga-Portney-Schwab. 1999.
20 3 DALL. 171 (1796).
21 Vedi nota 14.
22 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. e Bailyn e Wood, op.cit.
23 Vedi nota 16. Sull’argomento anche Morison e Commager, op.cit.
24 Vedi J.J. Wallis op. cit. e “American government finance in the long run:1790 to 1990” in Journal of Economic Perspectives v. 14 n.1 2000 ; Studenski e Krooss, op.cit.
25 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 80.
26 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 83
27 Vedi Morison e Commager, op.cit; e Toninelli op.cit.
28 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag.97; Toninelli, op.cit. ; Morison e Commager, op.cit.
29 Vedi di C. Goodrich “Government promotion of american canals and railroad”, 1960, pag. 28 e ss.
30 Vedi Studenski e Krooss, op.cit.
31 Vedi Studensky e Krooss, op.cit. pag. 101 e ss.
32 Vedi “Dizionario Mondadori di Storia Universale” di M.Mourre.
33 Vedi Studenski e Krooss, op.cit. pag. 122.
34 Vedi studenski e Krooss, op.cit. pag. 124; e D.B. Walker “The Rebirth of Federalism” 1995 . Nel 1854 il Presidente Pierce pose il veto su una legislazionea favore di persone affette da malattie mentali. Il suo successore J.Buchanan, pose il veto sul contributi agli stati per la pubblica istruzione. Buchanan giustificò il veto affermando “Quando i governi degli stati guardano al Tesoro Federale per i mezzi di supporto e mantenimento dei propri sistemi educativi …. il carattere di entrambi i governi ne diviene gravemente deteriorato.”
35 G. Brosio “Governo decentralizzato e federalismo” in Quaderni , pag. 248.
36 Vedi D.B. Walker op.cit. pag. 67 e ss.
37 Vedi D.B. Walker op.cit. pag. 71.